I Medici lombardi che vissero un secolo cruciale, nell’Italia “dei santi e dei tagliagole” di ieri e di sempre

Il Cinquecento – secolo chiave per la storia europea, che da moderna si farà contemporanea nella fucina di quell’epocale conflitto religioso e politico tra Cattolicesimo e Protestantesimo – si rispecchia soprattutto nelle biografie di personaggi cruciali quali quello che Sergio Redaelli, giornalista varesino (d’adozione, essendo nato a Milano) e storico da sempre attento al territorio in cui vive, ha voluto con perizia ed acume focalizzare.

Questo Gian Angelo Medici – che attraversa i primi due terzi del secolo con un’”irresistibile ascesa” che lo porterà al culmine, da semplice rampollo di una famiglia nobiliare lombarda (comunque ben imparentata), a  sommo pontefice con il nome di Pio IV – è sicuramente un personaggio emblematico di un epoca, ma non è certamente datato e relegabile nell’ammuffita biblioteca dei ritratti manieristici a cui una certa storiografia pedante ci ha spesso abituato.

Con il pessimo risultato di scoraggiare soprattutto i giovani dal cimentarsi con il proprio passato: un sicuro viatico verso l’oblio della memoria, che produce i nefasti danni culturali e sociali ben noti ma mai seriamente affrontati.

Forse proprio perché sono pochi quei ricercatori, e Redaelli è sicuramente uno di questi, che si prestano alla fatica di arrivare al risultato finale di una divulgazione semplice e godibile, frutto però di una attività di ricerca che – lo si intuisce dalla mole impressionante di aneddoti  e di dettagli storici – deve essere sicuramente stata approfondita e giocata “a tutto campo” sul territorio dove il protagonista del suo libro ha vissuto.

Chi ha una qualche pratica con questo lavoro di ricerca, tanto pedante e ripetitivo quanto indispensabile, può intuire la quantità di atti e di documenti che l’autore avrà sicuramente consultato, con un paziente lavoro di incrocio e di eventuale “potatura” delle fonti consultate.

Il risultato è comunque garantito da un’apparente facilità di scrittura (che altrettanto rende particolarmente agile e scorrevole la lettura), dove il percorso di vita del personaggio principale e dei comprimari – tra i quali spicca il vero “pirata” del titolo: il fratello Gian Giacomo, soldato di ventura di Carlo V imperatore di Spagna –  è sempre intrecciato con la trama del territorio dove si svolge l’azione.

E  nel racconto di Redaelli il dato territoriale locale – l’humus di cui si nutre qualsiasi ricerca storica seria – emerge prepotente e familiare per chi è attento a calare questa dimensione nella comprensione della propria realtà sociale.

Qui non siamo dalle parti degli pseudo miti antichi e recenti di cui una pessima agiografia ha infarcito la nostra storia lombarda soprattutto nei due secoli passati, l’Ottocento e il Novecento (ma gli strascichi li subiamo anche nel nostro terzo millennio, purtroppo).

Chiunque – appassionato di storia dei propri luoghi non per una vana nostalgia, ma per un costruttivo impulso al cambiamento sociale –  vorrà capire “da dove veniamo e dove vogliamo andare” potrà trovare una semplice ma utile lezione tra le pagine di questo libro scritto con genuina passione divulgativa, come sempre dovrebbe essere il mestiere di giornalista.